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Trento, 4 settembre 2013
Il Pd non deve inchinarsi ai giudici con la solita scusa del Cav.
L’esponente dei Verdi, Marco Boato: il Parlamento si prenda il tempo per votare su Berlusconi.
Senza legittimazione, quali larghe intese?

da Il Foglio di mercoledì 4 settembre 2013

Dopo vent’anni di “guerra civile fredda” e di immobilismo sul fronte della riforma della giustizia, la politica italiana ha adesso due possibilità per dimostrare la propria “non subalternità” all’ordine giudiziario: una è il dibattito parlamentare sulla “decadenza” di Silvio Berlusconi dal ruolo di senatore, l’altra sono i referendum radicali. Parola di Marco Boato, leader storico dei Verdi, movimento in cui tutt’ora milita seppure non da candidato, un passato in Lotta continua e nel Partito radicale, per cinque volte eletto nel Parlamento italiano.

Boato, trentino d’adozione, è impegnato nella sua regione per le prossime elezioni locali, ma segue con attenzione questa fase convulsa della politica italiana, auspica che finalmente si affermi il principio della “legittimazione dell’avversario”, anche se l’avversario si chiama Silvio Berlusconi ed è condannato per evasione fiscale, e al Foglio racconta la sua sensazione di “déjà vu”: “Quindici anni fa ho vissuto in prima persona una situazione per molti versi simile a quella che sta attraversando ora Luciano Violante (già presidente della Camera, oggi dirigente del Pd, ndr), accusato d’intelligenza con il nemico per il solo fatto di aver detto che Berlusconi ha il diritto di difendersi, anche il prossimo 9 settembre, nella giunta del Senato su elezioni e immunità parlamentari”.

“Non un linciaggio, ma quasi”, commenta Boato, che poi ricorda: “Nel 1997-’98 fui il destinatario di appelli in cui si chiedeva la destituzione dal mio ruolo di relatore nella commissione Bicamerale per le riforme costituzionali, dove ero stato nominato da Massimo D’Alema, appelli firmati da decine di parlamentari dell’allora Pds”. La “colpa” era quella di essere relatore di una proposta di riforma della Costituzione che riguardava anche la giustizia, la “bozza Boato” poi votata da tutti i parlamentari della Bicamerale (eccezion fatta per Rifondazione). Oggi il sistema è “bloccato” dagli stessi due fattori, dice Boato: “Dallo scontro frontale, nella logica amico/nemico, tra centrosinistra e centrodestra. E poi dall’ostilità del sindacato dei magistrati, l’Associazione nazionale magistrati (Anm), a ogni riforma in materia di giustizia”. Qualche cambiamento c’è stato, rispetto alla fine degli anni 90, in meglio e in peggio.

Cos’è cambiato in meglio rispetto agli anni 90? “Allora, per esempio, non c’era un presidente della Repubblica che definiva la riforma della giustizia come un problema da affrontare con urgenza, come fa Giorgio Napolitano oggi. Anzi. Ricordo che il 29 gennaio 1998, cioè tre giorni dopo che erano iniziati in Aula i lavori sulle proposte della commissione Bicamerale, si tenne il Congresso dell’Anm. A quel Congresso decise di partecipare, caso unico nella storia, il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Dopo la relazione dell’allora presidente dell’Anm, Elena Paciotti, che aveva sparato ad alzo zero contro la proposta di riforma, Scalfaro decise perfino di intervenire. Si alzò e disse che condivideva ‘parola per parola, anche nei dettagli’ la relazione del presidente dell’Anm. Ero presente e capii che quella era la dichiarazione di morte anticipata della Bicamerale. Risposi il giorno dopo in Aula, rivendicando l’autonomia e l’indipendenza del Parlamento”. Oggi il Quirinale è su posizioni diversissime. Rispetto agli anni 90, però, pesa il fatto che “in Parlamento, a sinistra, sono scomparsi quasi del tutto i garantisti”.

Soprattutto, Boato s’interroga su un paradosso dell’attuale governo di larghe intese tra centrosinistra e centrodestra: “Premetto che non mi piace l’espressione ‘pacificazione nazionale’, ha un ché di troppo enfatico e di consociativo. Eppure è indubbio che per avere una vita politica normale, e a maggior ragione una grande coalizione, è necessaria la legittimazione reciproca dei due schieramenti. Questo lo deve avere chiaro anche Berlusconi, ma oggi è evidentemente un problema soprattutto per la sinistra. Del leader del centrodestra sono sempre stato un avversario, ma gli riconosco infatti il merito di essere stato sostenitore di un governo di larghe intese subito dopo il voto. D’altronde già nel 1998 aveva ipotizzato un percorso simile”. “Oggi però non vige il principio della normale alternatività tra maggioranza e opposizione, quello che vediamo all’opera nel confronto elettorale tra Cdu e Spd in Germania per esempio. L’altra sera ho visto tutto il duello televisivo tra Angela Merkel e Peer Steinbrück: sembra un altro mondo! Noi rimaniamo fermi a un antagonismo radicale – continua Boato – Si ragiona in termini di ‘devo eliminarti per poter governare’ e non di ‘devo batterti al voto’”. Un banco di prova per misurare l’auspicato cambiamento inizia il 9 settembre, quando si apriranno i lavori della giunta del Senato che deve decidere sulla decadenza di Berlusconi, condannato definitivamente per evasione fiscale: “L’idea che alcuni del centrosinistra hanno, cioè che questo passaggio parlamentare sia soltanto una presa d’atto, un gesto notarile, è totalmente sbagliata. E’ la Costituzione, all’articolo 66, a dire che le Camere ‘giudicano’. Ci sarà un’istruttoria, un contraddittorio e un diritto alla difesa da rispettare, se occorre anche la possibilità di attendere ulteriori giudizi da Corti europee o dalla Consulta. Bisognerà osservare, insomma, i principi del giusto processo. E personalmente trovo scandaloso che tanti membri della giunta, che ha funzione giurisdizionale, stiano già esternando sulle loro intenzioni di voto. Se si facesse la follia di attribuire al Parlamento una funzione meramente notarile, il potere politico dimostrerà ancora una volta la subalternità rispetto all’ordine giudiziario”.

Boato comunque non si attende chissà quale colpo di scena per le sorti di Berlusconi: “Prima o poi sarà costretto a uscire dal Parlamento, non subito il 9 settembre, magari qualche mese dopo”. Scusi però: a quel punto il problema della “legittimazione” dell’avversario non si porrà nemmeno, visto che in molti a sinistra auspicano di liberarsi di Berlusconi proprio sfruttando il decorso della vicenda giudiziaria, non trova? “La decadenza da senatore di Berlusconi non vuol dire che egli debba uscire dalla vita politica. Non ritengo che debba essere una vicenda giudiziaria a mettere la parola ‘fine’ allo scontro politico tra centrodestra e centrosinistra. Sarebbe una sconfitta per il centrosinistra”. 

Il caso vuole, sostiene Boato, che presto si offrirà un secondo banco di prova per la politica, utile per capire se Berlusconi saprà rimanere in campo anche restando fuori dal Parlamento e se la sinistra lo legittimerà finalmente come avversario: i referendum radicali su cui, tra mille difficoltà, si stanno raccogliendo le firme. “I dodici referendum sono una mossa intelligente di Marco Pannella (che oggi dovrebbe vedere Enrico Letta, ndr), e firmarli tutti è stato un gesto intelligente da parte di Berlusconi. Che, va ricordato, fu il responsabile nel 1998 del fallimento della Bicamerale sulla riforma della Costituzione e quindi anche della giustizia. Ora però siamo nel 2013 e Berlusconi ha detto di aver firmato i quesiti, compresi quelli sui diritti civili con cui non è d’accordo, per dare agli italiani la possibilità di esprimersi in primavera con il loro voto. In questo modo, tra l’altro, per Berlusconi sarebbe un errore ancora più grave far cadere il governo, visto che questo confronto dovrebbe in quel caso essere rimandato. Tuttavia trovo terrificante l’idea che una parte della sinistra, della sua leadership e del suo popolo, come dimostrato per esempio dalla cacciata dei militanti radicali da una festa del Pd, sia disposta a non battersi per una serie di temi – alcuni dei quali storicamente le appartengono – soltanto perché anche Berlusconi ha deciso di firmare quegli stessi referendum. Sarebbe l’ennesima prova dell’erosione della cultura garantista a sinistra. Per usare la distinzione di Letta, si impedirebbe alla gente comune di dividersi sulla ‘politics’ mentre il governo si unisce su alcune ‘policies’. Insomma, tutto ciò equivarrebbe alla cancellazione di un confronto politico straordinario. Terrificante

 

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